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Industria italiana, dopo la ripresa record si teme la riduzione dei margini

Secondo l’Area Studi Mediobanca l’erosione della marginalità sui conti del 2022 costituisce un’evenienza tutt’altro che remota

giovedì 22 settembre 2022 - Redazione Build News

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L’Area Studi Mediobanca ha presentato la nuova edizione dei “Dati Cumulativi”, indagine annuale sulle società industriali e terziarie italiane di grande e media dimensione analizzate nel decennio 2012-2021. In particolare, sono esaminate le 2.145 società italiane che rappresentano il 47% del fatturato industriale e di quello manifatturiero, il 36% di quello dei trasporti e il 41% della distribuzione al dettaglio. Le imprese a controllo estero rappresentano il 51% di quelle con più di 250 addetti operanti in Italia e l’84% delle sole manifatturiere. Sono incluse tutte le aziende italiane con più di 500 dipendenti e circa il 20% di quelle di medie dimensioni manifatturiere.

Ripresa post-Covid più forte delle attese, ma pesano le incertezze 

All’eccezionalità della crisi pandemica del 2020 (-12,3% il fatturato), ha fatto seguito nel 2021 un rimbalzo del +25,6%, riveniente sia dalle vendite nazionali (+25,1%) che dall’export (+26,5%). Si tratta di scarti senza pari nella storia postbellica della nostra industria che testimoniano la peculiarità di quanto accaduto, ma anche l’efficacia con cui le autorità monetarie e fiscali hanno gestito lo snodo e la reattività complessiva del nostro sistema produttivo. 

Il 2021 posiziona il fatturato delle 2145 società del 10,1% sopra le consistenze del 2019. Le aziende pubbliche, grazie alle attività energetiche (+32,4%) e petrolifere (+15,2%), hanno segnato un recupero (+22,9%) più robusto delle private (+6,6%). Le società industriali hanno registrato una crescita del 13,1%, +9,1% escludendo le energetiche e le petrolifere. La manifattura (+9,3%) conferma le straordinarie capacità del IV capitalismo (+14,3% sul 2019) che doppia i gruppi maggiori (+7,1%). 

Il fermo produttivo pandemico e le limitazioni alla mobilità hanno sortito un impatto differenziato e asimmetrico sui settori produttivi. Anche la successiva ripartenza non ha livellato le disparità. Nel segmento manifatturiero, le performance migliori sono state messe a segno da metallurgia (+35,9% sul 2019), elettrodomestici e apparecchi radio-TV (+32,2%), legno e mobili (+19,8%), chimica (+17,4%) e gomma e cavi (+15,1%). Per contro, tessile (-8,7%), abbigliamento (-7,7%) e lavorazioni di pelle e cuoio (-2,7%) restano ancora attardati a fine 2021, insieme al comparto dei media: editoria -8,3%, emittenza radiotelevisiva -6,5% e telecomunicazioni -3,1%. 

Non è mai accaduto che, dopo una flessione molto consistente, il recupero si sia perfezionato nel corso di un solo anno. Nel 2009, ad esempio, l’industria ha ceduto il 14,7% del fatturato e sono occorsi due anni di crescita per pareggiare i livelli di vendita del 2008. La successiva crisi del debito sovrano (2012-2013) ha poi frenato l’ulteriore ripresa. Oggi la crisi geopolitica potrebbe giocare un ruolo analogo. 

Il ritorno sopra il giro d’affari pre-pandemico è stato prevalentemente alimentato dalla domanda domestica: le vendite all’interno dei confini nazionali hanno segnato una crescita del 12,2% sul 2019, quelle destinate oltreconfine del 6,4%. Gli incentivi fiscali e l’avvio del PNRR che continuano a interessare edilizia, elettrodomestici e arredo dovrebbero agire in senso favorevole con effetti moltiplicativi anche sul resto dell’economia. Sempre sul fronte delle vendite domestiche, merita menzione la crescita nell’ultimo biennio della grande distribuzione al dettaglio che chiude con un’espansione a perimetro corrente dell’8% sulle vendite del 2019: quella a prevalenza alimentare ha fatto anche meglio, segnando un +9,3%, e trainando in parte il comparto del food. 

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La spinta della domanda interna ha concorso al calo dell’incidenza dell’export sul fatturato dal 35,3% del 2019 al 34,2% del 2021. È utile tuttavia segnalare alcuni comparti particolarmente virtuosi anche sul fronte delle vendite oltreconfine tra cui ancora una volta gli elettrodomestici (+32,9%), il metallurgico (+30,1%), il legno e mobili (+21,4%) e la chimica (+14%) oltre a tutte le specialità alimentari (dal +18,4% delle diverse al +8,2% del dolciario). 

Il tema più rilevante è però ora rappresentato dai costi degli acquisti di beni e servizi sui quali gravano le recenti accelerazioni dell’inflazione. Essi ammontano, al netto della quota capitalizzata, all’84,5% dei ricavi. Ipotizzando un rincaro del 10%, la loro incidenza passerebbe al 93% del fatturato, mantenendo quest’ultimo costante. In termini assoluti si tratta di circa 65 miliardi di maggiori costi cui andrebbero sommati i già citati 2 miliardi di maggiore costo del debito. Ove tali 67 miliardi fossero ribaltati sui prezzi di vendita, a volumi costanti, essi comporrebbero una crescita del fatturato dell’8,7%, con il Mon che rappresenterebbe il 4,5%delle vendite. Nel caso di ribaltamento del 50% dei maggiori costi sul fatturato questo aumenterebbe, a parità di volumi, del 4,4% ma la quota addebitata al Mon lo ridurrebbe ad appena lo 0,5% delle vendite. In ipotesi statica d’invarianza dei volumi, l’evoluzione del fatturato 2021 in relazione a diverse opzioni di ribaltamento dei maggiori costi avrebbe un conseguente effetto sull’ebit margin che resterebbe positivo fino alla soglia del 50%. Ove invece le imprese intendessero preservare l’ebit margin del 2021, l’aumento dei prezzi di vendita che dovrebbero praticare sarebbe del 9,6%.

Manifattura: le sfide del 2022 tra congiuntura e riorganizzazione delle filiere 

Le incertezze dell’ultimo biennio hanno suggerito una riorganizzazione della supply chain: il 76,2% delle società manifatturiere ha in agenda l’aumento del numero dei fornitori dando priorità nel 57,4% dei casi a quelli di prossimità. Minore interesse per la riduzione dei fornitori o la loro integrazione (rispettivamente 11,6% e 4,6%). 

Circa le previsioni per il 2022, è possibile che il ruolo della domanda interna resti rilevante anche nel prossimo futuro poiché, nonostante i venti contrari legati all’inflazione e alla crescita dei tassi di interesse, dovrebbero agire in senso favorevole le misure del PNRR e quelle di agevolazione fiscale, con rilevanti effetti moltiplicativi sul resto dell’economia. È altrettanto verosimile che, per un’economia a forte vocazione manifatturiera come quella italiana, i settori al momento attardati sul fronte delle esportazioni potranno mettere a segno un sostanziale recupero. 

Dal quadro sopra evidenziato, il segmento manifatturiero potrebbe chiudere il 2022 con una crescita del fatturato pari al 7,5% (nominale). Rimane tuttavia l’incognita del fragile equilibrio dei margini che potrebbero risultare compromessi dal perdurare delle spinte inflattive legate alla congiuntura.

di Franco Metta

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