Sentenze

Errata certificazione energetica (A.P.E.): la perdita di valore dell'immobile acquistato va risarcita

Se la classe energetica riscontrata è inferiore rispetto a quella dichiarata, la consequenziale perdita di valore dell’immobile acquistato deve trovare ristoro. Infatti, se le parti avessero conosciuto fin dal primo momento la corretta classe energetica avrebbero sicuramente pattuito un prezzo diverso da quello effettivamente pagato

lunedì 16 gennaio 2023 - Redazione Build News

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Se in sede di stipula del contratto definitivo di compravendita immobiliare, viene accertato che la reale classe energetica dell’immobile non corrisponde a quella dichiarata nell’Attestato di Prestazione Energetica (APE) – con perdita consequenziale del valore dell’immobile acquistato – il compratore ha diritto al risarcimento del danno.

Così il Tribunale di Trani con la sentenza n. 1955/2022 (in allegato) pubblicata il 30 dicembre.

La controversia, si legge nella sentenza, prende le mosse da un’errata certificazione energetica (A.P.E.), rilasciata in sede di stipula del contratto definitivo, che, di fatto, ne ha determinato il valore economico dell’immobile venduto.

La certificazione energetica è un documento obbligatorio da allegare all’atto di compravendita e dunque ne fa parte integrante.

Nel caso di specie all’atto di compravendita era stato allegato l’A.P.E. che attestava l’efficienza energetica dell’immobile in classe D, e tanto ha permesso ai venditori di poter vendere l’immobile al prezzo pattuito e al compratore di acquistare un immobile con un valore “energetico” sicuramente ottimale.

Tuttavia ciò che è emerso nel corso del giudizio e confermato dalla chiesta CTU è che l’A.P.E., rilasciata in sede di compravendita, non corrispondeva a realtà, in quanto “è stata accertata l’esistenza di una effettiva discrepanza tra l’attestato di certificazione energetica di cui agli atti e la concreta prestazione energetica dell’appartamento in questione” (vedasi relazione tecnica del CTU depositata in giudizio).

Tralasciando, quindi, ogni altro e diverso aspetto, in questa sede non rilevati, la questione sottoposta all’odierno giudicante attiene ad una vendita aliud pro alio.

Giuridicamente si configura una vendita aliud pro alio “quando viene consegnato un bene completamente diverso da quello pattuito”.

La Cass. civ., Sez. II, 31/03/06, n. 76305, ha avuto modo di affermare che ricorre l’aliud pro alio non solo quando il bene sia totalmente difforme da quello dovuto e tale diversità sia di importanza fondamentale e determinante nella economia del contratto, ma anche quando la cosa (o meglio l’immobile nel caso di specie) appartenga ad un genere del tutto diverso dal bene oggetto della compravendita o si presenti priva delle caratteristiche funzionali necessarie a soddisfare i bisogni dell’acquirente.

Nello stesso senso anche Cass. Civ., Sez. II, 04/05/05, n. 92277, ha ritenuto configurabile l’aliud pro alio anche quando la cosa consegnata abbia difetti che la rendano inservibile o manchi delle particolari qualità necessarie per assolvere alla sua naturale “funzione economico-sociale”, ovvero a quella che le parti abbiano assunto come essenziale al fine di realizzare il programma negoziale di compravendita.

L’intero giudizio è stato improntato, da parte attrice, sulla dimostrazione della conoscenza dei vizi al momento della sottoscrizione del contratto di compravendita.

Vizi derivanti dall’erronea classificazione energetica dell’immobile, che non sono stati adeguatamente contestati da parte convenuta.

La recente sentenza delle SS.UU. n. 11748 del 03.05.2019 ha sancito il principio secondo cui il venditore non è tenuto all’obbligo specifico di consegnare la cosa priva di vizi, essendo solamente obbligato a garantire il compratore qualora il bene venduto si dimostri viziato.

Il presupposto di tale responsabilità è, quindi l'imperfetta attuazione del risultato traslativo (e quindi la violazione della lex contractus) per la presenza, nella cosa venduta, di vizi che la rendono inidonea all'uso cui è destinata o ne diminuiscono in modo apprezzabile il valore.

Si tratta di una responsabilità che prescinde da ogni giudizio di colpevolezza del venditore e si fonda soltanto sul dato obiettivo dell'esistenza dei vizi.

Ne deriva, pertanto, che la richiesta di risarcimento del danno avanzata da parte attrice, è basata sull’accertata presenza dei vizi riscontrati sulla cosa, che, quindi la rendono inidonea all’uso per cui era destinata.

Parte convenuta, nei propri scritti difensivi e verbali di causa, ha impostato la sua difesa, basandosi su asserzioni volte ad escludere ogni tipo di responsabilità, richiamando, a tal fine, la controversia instaurata tra il condominio e l’impresa costruttrice, che, in questa sede è del tutto inconferente, sia per ragioni soggettive che oggettive.

Infatti dal punto di vista soggettivo il condominio è entità ben diversa dal singolo condomino, esprimendo, di fatto, un interesse diverso dal condomino, sebbene spesso concordante; dal punto di vista oggettivo, l’oggetto della controversia è diversa, sebbene, in alcuni punti, possa essere concatenata.

Quindi la richiesta di parte convenuta inerente la cessata materia del contendere derivante dalla conclusione del giudizio con il condominio, è completamente da rigettare, poiché infondata in fatto e in diritto.

Di contro, sebbene sia emerso con tutta chiarezza e senza opposizione alcuna, l’errore in cui è incorso il certificatore nel determinare la classe di efficienza energetica, è pur vero che l’esistenza di una tale difformità tra la classe energetica dichiarata nel contratto di compravendita e quello accertato in sede giudiziale, non può essere fatta ricadere esclusivamente sui venditori, in quanto gli stessi hanno dovuto fare ricorso ad un soggetto certificatore terzo che attestasse il livello di efficientamento energetico.

Quindi sicuramente deve escludersi una qualsivoglia forma di dolo in capo ai convenuti, ma, la condotta assunta è più assimilabile ad una colpa, con la conseguenza che i danni da essa derivanti assumono una funzione prevalentemente sanzionatoria.

Di talchè l’emergere della discrepanza dell’A.P.E. ha assunto, nel presente giudizio, un valore determinante tanto per l’attore che per il convenuto, con la conseguenza che le spese sostenute per la CTU debbano essere divise in parti uguali tra le parti.

Risulta, altresì, pacifico e non contestato che la classe energetica riscontrata sia inferiore rispetto a quella dichiarata, con consequenziale perdita di valore dell’immobile acquistato, perdita che deve trovare ristoro nei termini fissati, e condivisi, dal nominato CTU.

Infatti, se le parti avessero conosciuto fin dal primo momento la corretta classe energetica avrebbero sicuramente pattuito un prezzo diverso da quello effettivamente pagato.

Pertanto, alla luce di quanto innanzi, deve essere accolta nei limiti di cui sopra la domanda attorea e per l’effetto respinto ogni avverso dedotto.

Le spese seguono la soccombenza e si liquidano, secondo dispositivo, in relazione al valore dell’importo riconosciuto, sulla base delle tariffe fissate dal DM n. 55/14, come modificato dal D.M. 13 AGOSTO 2022 N. 147, fissati ai minimi e dimidiati, oltre rimborso forfettario, spese generali 15%, IVA e accessori di legge ed esborsi documentati.

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