Le cosiddette “unità collabenti” – cioè i fabbricati totalmente in rovina, inseriti nella categoria catastale F/2 – sono aumentate dell’1,5% nel solo 2024. Ma è il confronto con il periodo pre-Imu a restituire la misura del fenomeno: dal 2011, anno di introduzione dell’imposta sugli immobili, il numero di ruderi è letteralmente esploso, passando da 278.121 a 629.022. Un incremento del 126%.
È quanto emerge dalle statistiche catastali dell'Agenzia delle entrate, che rappresentano una sintesi completa sull'entità e le caratteristiche dello stock dei fabbricati, così come censito nella banca dati del Catasto fabbricati aggiornato al 31 dicembre di ogni anno.
“È una situazione insostenibile”, ha dichiarato il presidente della Confedilizia, Giorgio Spaziani Testa. “Il patrimonio immobiliare privato, che dovrebbe essere valorizzato, è invece in molti casi abbandonato a sé stesso. E il quadro non può che peggiorare, vista la presenza dell’Imu – che, come tutte le patrimoniali, è un’imposta progressivamente espropriativa del bene colpito, specie quando si tratta di immobili privi di mercato – e il drastico taglio degli incentivi fiscali per interventi edilizi. Occorre intervenire”.
Azioni volontarie dei proprietari per evitare l'IMU
Il degrado materiale si accompagna a un degrado sociale. Questi edifici – per circa il 90% di proprietà di persone fisiche – si trasformano in ruderi spesso per il solo passare del tempo, ma in molti casi anche per azioni volontarie dei proprietari, come la rimozione del tetto, per sfuggire alla tassazione patrimoniale. Va infatti ricordato che l’Imu si applica anche a immobili dichiarati “inagibili o inabitabili”, purché non ancora formalmente classificati come ruderi.