Negli ultimi anni, in molte zone della Romagna l’emergenza alluvioni è diventata una realtà ricorrente. Località come Faenza, Bagnacavallo e Castel Bolognese hanno vissuto evacuazioni ripetute, anche in assenza di esondazioni vere e proprie. È una condizione che ha trasformato l’allerta meteo in una presenza costante nella vita quotidiana di migliaia di persone, consapevoli che, nonostante gli interventi di messa in sicurezza, il rischio non potrà essere eliminato del tutto.
Le gravi alluvioni del maggio 2023 e del settembre 2024 hanno reso evidente una situazione che gli esperti segnalano da tempo: l’Emilia-Romagna è una delle aree italiane più vulnerabili dal punto di vista idraulico. Le mappe elaborate dall’ISPRA mostrano come in numerosi comuni la totalità della popolazione viva in zone esposte a pericolosità media o alta, un dato che non ha eguali in molte altre regioni.
Una regione “stretta” tra monti, fiumi e mare
La spiegazione parte innanzitutto dalla geografia. L’Italia, nel suo complesso, è un paese naturalmente predisposto alle alluvioni perché dispone di spazi limitati dove le acque possono espandersi durante le piene. In Emilia e in Romagna questa fragilità è ancora più accentuata: gli Appennini a sud, il mare Adriatico a est e, nel mezzo, una rete fittissima di fiumi e canali di scolo.
Quando le precipitazioni sono molto intense e concentrate in poche ore, questo sistema fatica a smaltire l’acqua. La situazione è aggravata da particolari configurazioni meteorologiche: le correnti umide provenienti dall’Adriatico, soprattutto con venti di Scirocco, possono essere bloccate dalla barriera appenninica. In questi casi si crea il cosiddetto effetto Stau, che provoca piogge abbondanti e persistenti su aree ristrette.
È quanto accaduto anche negli eventi più recenti, con accumuli di pioggia in poche ore pari o superiori a quelli che normalmente cadono in un intero mese. Le aree montane si saturano rapidamente e l’acqua confluisce a valle, generando piene improvvise che investono la pianura.
Il peso delle trasformazioni operate dall’uomo
Alle cause naturali si sommano quelle legate all’intervento umano. Gran parte della pianura emiliano-romagnola è il risultato di secoli di bonifiche, rese possibili da un complesso sistema di canali artificiali. Molti corsi d’acqua scorrono oggi a un livello più alto rispetto al territorio circostante, trattenuti da argini. Questo significa che, in caso di cedimento, l’acqua si riversa con grande forza sulle aree abitate.
Negli ultimi decenni, inoltre, l’espansione urbana e il consumo di suolo hanno ridotto la capacità del terreno di assorbire le piogge. Superfici impermeabili, costruzioni vicine ai corsi d’acqua e una crescente densità edilizia favoriscono il rapido deflusso dell’acqua verso fiumi e canali, che possono andare in crisi contemporaneamente, soprattutto durante eventi estremi.
Clima che cambia e necessità di adattamento
Pur distinguendo tra singoli episodi e tendenze di lungo periodo, la comunità scientifica è concorde nel ritenere che il cambiamento climatico stia aumentando la frequenza e l’intensità di eventi meteorologici estremi, come piogge torrenziali e alluvioni. Il bacino del Mediterraneo, e quindi anche l’Italia, rientra tra le aree più sensibili a questi cambiamenti.
Per questo motivo, gli esperti sottolineano l’importanza delle politiche di adattamento, soprattutto nelle zone già strutturalmente fragili come l’Emilia-Romagna. Non esistono soluzioni definitive: la protezione passa da un insieme di interventi, che includono opere come argini, casse di espansione e vasche di laminazione, progettate per trattenere temporaneamente l’acqua durante le piene.
Negli ultimi due anni la regione ha finanziato numerosi progetti di questo tipo. Il fatto che, in occasione delle allerte più recenti, non si siano verificati danni gravi è anche il risultato di questi lavori. Tuttavia, la convivenza con il rischio resta una realtà con cui il territorio dovrà continuare a fare i conti.
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