Normativa

Immobile abusivo, Consiglio di Stato: l’acquirente risponde dell’abuso edilizio

È irrilevante il fatto che l'abuso edilizio è molto risalente e che il proprietario non lo ha materialmente realizzato ma è un acquirente dello stesso. In zona vincolata non conta il fatto che l’abuso riguardi opere interne

mercoledì 16 luglio 2025 - Alessandro Giraudi

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Il proprietario risponde a pieno titolo dell’abuso edilizio, ancorché non ne sia il materiale esecutore,  e tale conclusione non è in contrasto con i parametri anche sovranazionali.

Così la sentenza n. 5318/2025 con la quale la sesta sezione del Consiglio di Stato ha respinto l'appello contro la sentenza n. 7896/2021 del T.A.R. Campania che ha respinto il ricorso proposto dall’appellante per l’annullamento del provvedimento del Comune di Napoli n. 208/A del 13 agosto 2018, con il quale viene ordinato, ai sensi dell’art. 33, comma 3, del d.P.R. n. 380/2001 (Testo Unico Edilizia), il ripristino dello stato dei luoghi in relazione alla realizzazione sine titulo, al pian terreno dell’immobile di sua proprietà sito in Napoli, di un soppalco scomposto in due piani a quote diverse.

Non rileva il fatto che il proprietario non ha realizzato l’abuso

L’appellante, dopo aver rappresentato di essere assolutamente estraneo al presunto abuso, avendo acquistato l’immobile in epoca di gran lunga successiva alla realizzazione dell’intervento contestato, ha censurato il provvedimento sanzionatorio per violazione, oltre che degli artt. 6, 7 e 1, Prot. 1, CEDU, anche dei principi di legalità e colpevolezza, tenuto conto di quanto affermato, in materia, dalla Grande Camera della Corte EDU con la sentenza del 28 giugno 2018.

In proposito, la sesta sezione del Consiglio di Stato osserva che il proprietario “risponde a pieno titolo dell’abuso ancorché non ne sia il materiale esecutore (in tal senso, ex multis, Consiglio di Stato n. 655/2024 e n. 237/2023): senza che tale conclusione possa ritenersi in contrasto con i parametri, anche sovranazionali, evocati dall’appellante avuto riguardo alla specifica fattispecie dedotta”.

Irrilevante la circostanza che il manufatto è molto risalente nel tempo

Secondo Palazzo Spada, tutti i motivi di appello sono infondati in quanto essi poggiano sull’affermazione che il manufatto in questione è molto risalente, e che l’appellante non ha materialmente realizzato l’abuso ma è un acquirente dello stesso. Ma tutto ciò per pacifica giurisprudenza non rileva: "Nel caso di tardiva adozione del provvedimento di demolizione di un abuso edilizio, la mera inerzia da parte dell'Amministrazione nell'esercizio di un potere/dovere finalizzato alla tutela di rilevanti finalità di interesse pubblico non è idonea a far divenire legittimo ciò che (l'edificazione sine titulo) è sin dall'origine illegittimo; allo stesso modo, tale inerzia non può certamente radicare un affidamento di carattere "legittimo" in capo al proprietario dell'abuso, giammai destinatario di un atto amministrativo favorevole idoneo a ingenerare un'aspettativa giuridicamente qualificata. … Il provvedimento con cui viene ingiunta, sia pure tardivamente, la demolizione di un immobile abusivo e giammai assistito da alcun titolo, per la sua natura vincolata e rigidamente ancorata al ricorrere dei relativi presupposti in fatto e in diritto, non richiede motivazione in ordine alle ragioni di pubblico interesse (diverse da quelle inerenti al ripristino della legittimità violata) che impongono la rimozione dell'abuso neanche nell'ipotesi in cui l'ingiunzione di demolizione intervenga a distanza di tempo dalla realizzazione dell'abuso, il titolare attuale non sia responsabile dell'abuso e il trasferimento non denoti intenti elusivi dell'onere di ripristino" (C.d.S, AP n. 9/17).

Secondo la pacifica giurisprudenza del Consiglio di Stato, “la natura obbligata dell'ingiunzione a demolire, in conseguenza dell'accertata violazione, non ne impone né una particolare motivazione, essendo l'interesse pubblico alla sua adozione sotteso in re ipsa, né il preventivo inoltro della comunicazione di avvio del procedimento, stante che la partecipazione della parte non potrebbe in alcun modo incidere sui contenuti dello stesso”. 

Analogamente, si ritiene pacificamente che “L'ordinanza di demolizione, costituendo un atto doveroso e vincolato emesso all'esito di un mero accertamento tecnico della consistenza delle opere realizzate e del carattere abusivo delle medesime, non deve quindi essere preceduta, come affermato dall'appellante, dall'avviso di avvio del relativo procedimento, considerando anche la sua conseguente intangibilità ai sensi dell'art. 21 octies della L. n. 241 del 1990. D'altra parte, la invocata partecipazione procedimentale non avrebbe potuto eliminare la circostanza, non contestata, che le opere erano state realizzate senza il necessario titolo. In tale contesto, il provvedimento, essendo rigidamente ancorato alla sussistenza dei relativi presupposti in fatto e in diritto, non necessitava neppure di una specifica motivazione in ordine alle ragioni di pubblico interesse che imponevano la rimozione dell'abuso”. 

In zona vincolata non conta il fatto che l’abuso riguardi opere interne

Inoltre, l’opera in questione “ricade in zona vincolata, e rispetto a tale caratteristica la circostanza che l’abuso riguardi opere interne non ha valore esimente, o comunque tale da diversificare la fattispecie rispetto alle conclusioni della giurisprudenza assolutamente pacifica”, osserva la sesta sezione del Consiglio di Stato. 

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