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Urbanistica, il Governo impugna la nuova legge della Liguria

Sarebbero incostituzionali parecchie norme della nuova legge che ha modificato la L.r. n. 36/1997

lunedì 8 giugno 2015 - Redazione Build News

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Nella riunione di sabato 6 giugno, il Consiglio dei Ministri ha impugnato alla Consulta la Legge della Regione Liguria n. 11 del 02/04/2015, “Modifiche alla legge regionale 4 settembre 1997, n. 36 (Legge urbanistica regionale)”, in quanto alcune disposizioni invaderebbero le competenze statali in materia di paesaggio, violando quindi l’art. 117, secondo comma, lettera s), della Costituzione.

Altre disposizioni in materia di edilizia contrasterebbero con i principi fondamentali della legislazione statale in materia di governo del territorio, in violazione dell’articolo 117, terzo comma, della Costituzione. 

PIANIFICAZIONE PAESAGGISTICA. Secondo il Governo, gli articoli 2 (c. 1, 3); 3 (c. 2); 12 (c. 1); 14 (c. 1); 15 (c. 1); 17 (c. 1); 18 (c. 1); 27 (c. 1), si pongono in contrasto con le norme in materia di pianificazione paesaggistica contenute nel decreto legislativo n. 42/2004 (Codice dei beni culturali e del paesaggio), e quindi violano l’art. 117, comma 2, lettera s) della Costituzione, che attribuisce allo Stato la potestà legislativa esclusiva statale in materia di tutela dei beni culturali e del paesaggio.

RIQUALIFICAZIONE EDILIZIA O URBANISTICA E CREDITO EDILIZIO. Ulteriori profili di incostituzionalità sono rilevati con riferimento all’articolo 34, che inserisce l’articolo 29-ter (Riqualificazione edilizia o urbanistica e credito edilizio) nella L.R. n. 36/1997, prevede che il piano urbanistico comunale (PUC) possa “individuare negli ambiti e nei distretti di trasformazione gli edifici o complessi di edifici esistenti suscettibili di riqualificazione edilizia o urbanistica caratterizzati da: …a) condizioni di rischio idraulico o di dissesto idrogeologico; b) condizioni di incompatibilità per contrasto con la destinazione d'uso dell'ambito o del distretto di trasformazione o per la tipologia edilizia.. d) situazioni di interferenza con la previsione di realizzazione di servizi pubblici o infrastrutture pubbliche”.

Il comma 2 del medesimo articolo stabilisce che “Ove gli interventi di cui al comma 1 prevedano la demolizione totale o parziale dei fabbricati, il PUC stabilisce i parametri per l'utilizzazione del corrispondente credito edilizio in funzione della destinazione d'uso degli edifici da demolire ed individua gli ambiti e i distretti nei quali tale credito può essere trasferito, anche con tempistiche di utilizzo differite, fissando le relative percentuali di utilizzo per l'attuazione degli interventi previsti nei distretti e negli ambiti secondo la rispettiva disciplina”.

Al comma 3 si chiarisce che “Non possono dar luogo al riconoscimento del credito edilizio gli edifici realizzati in assenza od in difformità dai prescritti titoli abilitativi edilizi e paesaggistici, se non previa loro regolarizzazione”.

Secondo il CdM la disposizione, nel postulare la possibilità di un riconoscimento di un credito edilizio a fronte della demolizione di edifici o complessi di edifici esistenti realizzati in assenza o in difformità dai prescritti titoli abilitativi e paesaggistici “se non previa loro regolarizzazione”, si pone in contrasto con i principi fondamentali in materia di governo del territorio contenuti nel testo unico dell’edilizia (d.p.r. n. 380/2001), e in particolare con gli articoli 36 e 37, che subordinano il rilascio del titolo in sanatoria alla conformità dell'intervento alla disciplina urbanistica ed edilizia vigente sia al momento della realizzazione dello stesso, sia al momento della presentazione della domanda. Si tratta del requisito della c.d. “doppia-conformità” che la Corte Costituzionale, nella sentenza n. 101/2013 ha espressamente qualificato principio fondamentale della materia. Le condizioni degli edifici oggetto degli interventi di riqualificazione individuate dalle lettere a),b),c) e d) del comma 1, e soprattutto il fatto che lo stesso piano urbanistico postuli la necessità di demolire questi edifici, sono intrinsecamente incompatibili con il requisito individuato dal testo unico per la sanatoria, ovvero che l’intervento per il quale si richiede la sanatoria “risulti conforme alla disciplina urbanistica ed edilizia vigente sia al momento della realizzazione dello stesso, sia al momento della presentazione della domanda”. Pertanto, la disposizione censurata, travalica i limiti indicati dalla Corte Costituzionale in materia di condono edilizio (sentenza nn. 225/2012 e 290/2009) e contrasta con i principi generali in materia di “governo del territorio” sopra richiamati, violando l’articolo 117, terzo comma, Cost. nella materia “governo del territorio”.

MARGINI DI FLESSIBILITÀ DEL PUC. Inoltre, sarebbe incostituzionale, per contrasto con i principi fondamentali in materia di governo del territorio contenuti nel d.p.r. n. 380/2001 e con la normativa statale in materia di paesaggio contenuta nel d.lgs. n. 42/2004, la disciplina dei “margini di flessibilità” del PUC contenuta all’articolo 31, co. 1, e agli articoli 50, 51, 68 e 80, comma 1, lettera b).

L’articolo 61 aggiunge la lettera d-bis al comma 1 dell'articolo 53 della L.R. 36/1997. Tale norma dispone che i P.U.O. sono considerati conformi al PUC anche qualora, oltre i margini di flessibilità previsti dal PUC e dal PUO, comportino "d bis) la fissazione di distanze tra fabbricati inferiori a quelle stabilite dal PUC che risultino idonee ad assicurare un equilibrato assetto urbanistico e paesaggistico in relazione alle tipologie degli interventi consentiti e tenuto conto degli specifici caratteri dei luoghi e dell'allineamento degli immobili già esistenti, fermo restando comunque il rispetto delle norme del codice civile e dei vincoli di interesse culturale e paesaggistico. Tale riduzione è applicabile anche nei confronti di edifici ubicati all'esterno del perimetro del PUO”.

Il Governo osserva che la prevista possibilità di ridurre le distanze tra edifici anche nei confronti di edifici ubicati all'esterno del perimetro del PUO, contrasta con l’articolo 2-bis del TUE nella lettura interpretativa della Corte Costituzionale (sentenza n. 134/2014), la quale, confermando un orientamento ormai consolidato in materia di distanze tra fabbricati ha precisato che l’articolo 2-bis del TUE recepisce il principio in base al quale “le deroghe all’ordinamento civile delle distanze tra edifici sono consentite se inserite in strumenti urbanistici, funzionali a conformare un assetto complessivo e unitario di determinate zone del territorio”. A ciò si aggiunga che, in base all’articolo 82, comma 1, lettera a, n. 3), salvo quanto stabilito in via transitoria agli articoli 79, 80 e 81, le disposizioni della legge regionale in esame sostituiscono il DM n. 1444/1968.

Pertanto, stante i puntuali criteri interpretativi della Consulta, la disposizione regionale in esame risulta adottata in violazione della competenza legislativa esclusiva dello Stato in materia di “ordinamento civile” (art. 117, secondo comma lettera l), nonché di quella concorrente nella materia “governo del territorio” (art. 117, terzo comma).

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