Restauratori Senza Frontiere – Italia esprime il proprio sostegno alla lettera aperta dell’Associazione Restauratori d’Italia (ARI) e ribadisce la ferma opposizione all’emendamento 14.0.7 del DDL n.1184, che prevede la riapertura della disciplina transitoria per l’accesso alla qualifica di Restauratore di Beni Culturali. Una misura considerata da larga parte del settore come un grave rischio per la tutela del patrimonio culturale e per l’integrità della professione.
Un colpo all’impianto normativo costruito in vent’anni
Dopo decenni di confronti istituzionali, il Codice dei Beni Culturali (Dlgs 42/2004) e i successivi sviluppi normativi hanno definito con chiarezza competenze, responsabilità e percorsi formativi necessari per esercitare la professione del Restauratore di Beni Culturali: una figura altamente specializzata, riconosciuta come professionista intellettuale, responsabile non solo dell’esecuzione, ma anche della progettazione e direzione degli interventi.
Il sistema, fondato su percorsi universitari rigorosi e su una selezione pubblica trasparente, ha prodotto un Elenco Nazionale con oltre 6.000 restauratori qualificati e più di 7.500 collaboratori restauratori riconosciuti.
L’emendamento 14.0.7 riaprirebbe però, almeno in parte, la disciplina transitoria permettendo l’accesso alla qualifica anche a figure formatesi prevalentemente “sul campo”, senza il necessario percorso scientifico, multidisciplinare e accademico che caratterizza la professione. Una misura percepita come un pericoloso passo indietro.
Chi tutela il patrimonio culturale?
RSF–Italia sottolinea come, nonostante il passaggio da MiBACT a Ministero della Cultura (MiC), la tutela del patrimonio storico-artistico resti inequivocabilmente una competenza ministeriale primaria. È dunque difficile comprendere – si legge nella posizione dell’associazione – come il Ministro Giuli e i suoi uffici non abbiano colto la portata delle conseguenze derivanti dall’emendamento.
La supervisione degli interventi di restauro non può avvenire “a posteriori”: un restauro errato produce danni irreversibili ai beni culturali. Per questo la normativa prevede che solo professionisti altamente qualificati possano progettare e dirigere operazioni tanto delicate.
Rischi per la qualità degli interventi e per la professione
Secondo RSF–Italia e ARI, le motivazioni ufficiali dell’emendamento – aumento della concorrenza, aggiornamento delle condizioni di mercato, maggiore partecipazione alle gare pubbliche – non tengono conto della specificità del settore del restauro: un ambito che non può essere assimilato ai lavori edili o a mere logiche di mercato.
La riapertura della disciplina transitoria produrrebbe:
- abbassamento degli standard qualitativi, con interventi affidati a professionisti non adeguatamente formati;
- svalutazione della professione del restauratore, già messa sotto pressione da parcellizzazione dei settori formativi e dinamiche di mercato;
- ingerenza crescente di imprese edili, spesso prive di competenze specialistiche;
- rischio concreto di danni irreversibili al patrimonio culturale, bene comune protetto dall’art. 9 della Costituzione;
- erosione della credibilità normativa costruita in vent’anni di lavoro istituzionale.
La richiesta: proteggere la qualificazione professionale e la tutela
Restauratori Senza Frontiere – Italia chiede al Ministro Giuli un intervento immediato per difendere l’integrità del sistema di qualificazione, oggi messo in discussione dall’emendamento. L’associazione rilancia inoltre una proposta già discussa negli ultimi anni: la creazione di una quarta macro-categoria nel Codice dei Contratti Pubblici, dedicata esclusivamente alla Conservazione dei Beni Culturali, distinta da lavori, servizi e forniture.
Una categoria che permetterebbe di porre la tutela al riparo da logiche commerciali, appalti impropri e semplificazioni che compromettono la qualità degli interventi.
Un appello condiviso
Alla luce delle implicazioni dell’emendamento 14.0.7, RSF–Italia si unisce ad ARI, al mondo accademico, a numerosi professionisti e alle istituzioni del settore nel richiedere che la qualifica di Restauratore di Beni Culturali rimanga fondata su criteri rigorosi, verificabili e coerenti con la normativa vigente.
La posta in gioco non riguarda solo una categoria professionale, ma la sicurezza, la conservazione e la trasmissione alle generazioni future del patrimonio storico, artistico e culturale che identifica l’Italia nel mondo.