Con sentenza del 31 gennaio 2025, il Tribunale di Savona condannava A. M. alla pena di 5.000 euro di ammenda, in quanto ritenuto colpevole del reato di cui all’art. 44, comma 1 lett. a), del Testo Unico Edilizia (d.P.R. n. 380/2001), a lui ascritto per avere installato, in contrasto con l’art. 8, comma 3, dello Studio organico di insieme del Centro storico e con l’art. 112 del Regolamento edilizio vigente, una “pergotenda” dotata di sistema di scorrimento in materiale plastico, posta sul terrazzo di pertinenza della sua unità immobiliare. Il fatto è stato commesso in Varazze in data anteriore e prossima all’8 marzo 2020.
La pergotenda era costituita da una struttura metallica di 5,10 mt. x 3,70 mt., con altezza minima di 2,55 mt. e massima di 2,65 mt.; la struttura poggiava su due muri del terrazzo su cui era appoggiata chiudendo totalmente gli altri due lati ed era sorretta da due pilastrini metallici aventi sezione di 10 cm. x 8 cm.
Ciò posto, il Tribunale ha ritenuto che per l’intervento in esame fosse necessario un titolo abilitativo, essendo stato creato un nuovo volume abitabile.
Con la sentenza n. 29638/2025 (in allegato), la terza sezione penale della Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso di A. M. e ha condiviso le argomentazioni della sentenza impugnata circa la rilevanza penale del fatto.
Il Salva Casa e la nozione di “pergotenda”
La Cassazione ribadisce, nel solco già tracciato da una sua recente pronuncia (Sez. 3, n. 39596 del 12/09/2024), che, in tema di reati edilizi, non rientrano nella nozione di “pergotenda”, di cui all’art. 6, comma 1, lett. b-ter), d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, come novellato dall’art. 1, comma 1, lett. a), del Salva Casa (decreto legge 29 maggio 2024, n. 69, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 luglio 2024, n. 105), i manufatti leggeri, implicanti la creazione di uno spazio chiuso idoneo a determinare la trasformazione urbanistico-edilizia del territorio e soggetto, come tale, a regime autorizzatorio.
I manufatti liberamente edificabili prima del Salva Casa
Nella versione vigente alla data di accertamento del fatto, l’art. 6, comma 1, lett. e-bis, del d.P.R. n. 380 del 2001, che disciplina l’attività edilizia libera, così descriveva i manufatti liberamente edificabili: «le opere dirette a soddisfare obiettive esigenze contingenti e temporanee e ad essere immediatamente rimosse al cessare della necessità e, comunque, entro un termine non superiore a novanta giorni, previa comunicazione di avvio lavori all’amministrazione comunale».
La norma è stata parzialmente modificata dall’art. 10, comma 1, lett. c), del decreto legge n. 76 del 2020, conv. con modificazioni dalla legge n. 120 del 2020, che ha esteso fino a centottanta giorni il termine finale della rimozione, termine comprensivo, però, dei tempi di allestimento e smontaggio del manufatto. A sua volta, l’art. 3, comma 1, lett. e.1 ed e.5, del d.P.R. n. 380 del 2001, all’epoca dei fatti qualificava come “interventi di nuova costruzione”: «l’ampliamento di [manufatti] esistenti all’esterno della sagoma esistente, fermo restando, per gli interventi pertinenziali, quanto previsto dalla lettera e.6» (e.1); «l’installazione di manufatti leggeri, anche prefabbricati, e di strutture di qualsiasi genere, quali roulottes, campers, case mobili, imbarcazioni, che siano utilizzati come abitazioni, ambienti di lavoro, oppure come depositi, magazzini e simili, ad eccezione di quelli che siano diretti a soddisfare esigenze meramente temporanee o siano ricompresi in strutture ricettive all’aperto per la sosta e il soggiorno dei turisti, previamente autorizzate sotto il profilo urbanistico, edilizio e, ove previsto, paesaggistico, in conformità alle normative regionali di settore» (e.5).
L’art. 10, comma 1, lett. b), n. 2-bis, del decreto legge n. 76 del 2020 ha modificato la lettera e.5 dell’art. 3, escludendo dal novero degli interventi di nuova costruzione «le tende e le unità abitative mobili con meccanismi di rotazione in funzione, e loro pertinenze e accessori, che siano collocate, anche in via continuativa, in strutture ricettive all’aperto per la sosta e il soggiorno dei turisti previamente autorizzate sotto il profilo urbanistico, edilizio e, ove previsto, paesaggistico, che non posseggano alcun collegamento di natura permanente al terreno e presentino le caratteristiche dimensionali e tecnico-costruttive previste dalle normative regionali di settore ove esistenti».
L’art. 3, comma 2, d.P.R. n. 380 del 2001, stabilisce che le definizioni degli interventi edilizi prevalgono sulle disposizioni degli strumenti urbanistici generali e dei regolamenti edilizi; per questo motivo, l’art. 4, comma 1-sexies, d.P.R. n. 380 del 2001, dispone che il Governo, le Regioni e le autonomie locali, in attuazione del principio di leale collaborazione, concludano in sede di Conferenza unificata accordi ai sensi dell’art. 9, d.lgs. n. 281 del 1997, o intese ai sensi dell’art. 8, legge n. 131 del 2003, per l'adozione di uno schema di regolamento edilizio-tipo, al fine di semplificare e uniformare le norme e gli adempimenti. Tali accordi costituiscono livello essenziale delle prestazioni, concernenti la tutela della concorrenza e i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale.
L'intesa 20 ottobre 2016 sul regolamento edilizio tipo e quadro definizioni uniformi
In attuazione di tale disposizione, lo Stato, le Regioni ed i Comuni hanno siglato l’intesa del 20 ottobre 2016, n. 125/CU, che ha approvato lo schema di regolamento edilizio tipo e il quadro delle definizioni uniformi. Il punto 42 dell’intesa così definisce la veranda: «locale o spazio coperto avente le caratteristiche di loggiato, balcone, terrazza o portico, chiuso sui lati da superfici vetrate o con elementi trasparenti e impermeabili, parzialmente o totalmente apribili».
Concorrono a definire il quadro normativo gli art. 1, comma 2, e 2, comma 1, del d.lgs. n. 222 del 25/11/2016. L’art. 1, comma 2, così recita: «con riferimento alla materia edilizia, al fine di garantire omogeneità di regime giuridico in tutto il territorio nazionale, con decreto del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti di concerto con il Ministro delegato per la semplificazione e la pubblica amministrazione, da emanare entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto, previa intesa con la Conferenza unificata di cui all’articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, è adottato un glossario unico, che contiene l’elenco delle principali opere edilizie, con l'individuazione della categoria di intervento a cui le stesse appartengono e del conseguente regime giuridico a cui sono sottoposte, ai sensi della tabella A di cui all’articolo 2 del presente decreto». L’art. 2, comma 1, così recita: «A ciascuna delle attività elencate nell’allegata tabella A, che forma parte integrante del presente decreto, si applica il regime amministrativo ivi indicato».
La tabella allegata al decreto legislativo in questione dedica all’attività edilizia la Sezione II, la cui sottosezione 1 effettua la ricognizione degli interventi edilizi e dei relativi regimi amministrativi. In particolare, il punto 16 riconduce all’attività edilizia libera la installazione di manufatti leggeri, anche prefabbricati, e di strutture di qualsiasi genere, quali roulottes, campers, case mobili, imbarcazioni, in strutture ricettive all’aperto per la sosta e il soggiorno dei turisti, previamente autorizzate sotto il profilo urbanistico, edilizio e, ove previsto, paesaggistico, in conformità alle normative regionali di settore. Tali manufatti devono essere ricompresi in strutture ricettive all’aperto per la sosta e il soggiorno dei turisti, previamente autorizzate sotto il profilo urbanistico, edilizio e, ove previsto, paesaggistico, in conformità alle normative regionali di settore.
Il glossario (D.M. 2 marzo 2018)
In attuazione dell’art. 1, comma 2, del citato d.lgs. n. 222, il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti ha emanato il D.M. 2 marzo 2018, con cui è stato approvato il glossario contenente l’elenco non esaustivo delle principali opere edilizie realizzabili in regime di attività edilizia libera. Anche per il “glossario”, rientra nell’ambito dell’attività edilizia libera la installazione di manufatti leggeri, anche prefabbricati, e di strutture di qualsiasi genere, quali roulottes, campers, case mobili, imbarcazioni, in strutture ricettive all’aperto per la sosta e il soggiorno dei turisti, previamente autorizzate sotto il profilo urbanistico, edilizio e, ove previsto, paesaggistico, in conformità alle normative regionali di settore. Il “glossario” esclude dal novero delle attività di edilizia libera i gazebo, i pergolati e i ripostigli che siano stabilmente infissi al suolo, pur se di limitate dimensioni. Rientrano, invece, nell’attività edilizia libera le tende, le tende a pergola, le pergotende, le coperture leggere di arredo.
La modifica introdotta dal Salva Casa
La Cassazione evidenzia che, “in seguito, con decreto legge 29 maggio 2024, n. 69, convertito con modificazioni dalla legge 24 luglio 2024, n. 105, il legislatore ha modificato il d.P.R. n. 380 del 2001 e, per quanto qui rileva, l’art. 6, aggiungendo la lettera b-ter) senza però modificare la lettera e-bis).
In particolare, la lettera b-ter), introdotta dall’art. 1, comma 1, lett. a, del decreto legge n. 69 del 2024, attrae nell’ambito degli interventi di edilizia libera «le opere di protezione dal sole e dagli agenti atmosferici la cui struttura principale sia costituita da tende, tende da sole, tende da esterno, tende a pergola, anche bioclimatiche, con telo retrattile, anche impermeabile, ovvero con elementi di protezione solare mobili o regolabili, e che sia addossata o annessa agli immobili o alle unità immobiliari, anche con strutture fisse necessarie al sostegno e all’estensione dell'opera. In ogni caso, le opere di cui alla presente lettera non possono determinare la creazione di uno spazio stabilmente chiuso, con conseguente variazione di volumi e di superfici, devono avere caratteristiche tecnico-costruttive e profilo estetico tali da ridurre al minimo l’impatto visivo e l’ingombro apparente e devono armonizzarsi alle preesistenti linee architettoniche».
Pertanto, perché non sia soggetta ad alcun regime autorizzatorio, è necessario che l’opera: a) sia funzionalmente destinata alla sola protezione dal sole e dagli agenti atmosferici; b) sia strutturalmente (e conseguentemente) costituita esclusivamente da tende, tende da sole, tende da esterno, tende a pergola, anche bioclimatiche, con telo retrattile, anche impermeabile, ovvero con elementi di protezione solare mobili o regolabili; c) sia addossata o annessa agli immobili o alle unità immobiliari, anche con strutture fisse necessarie al sostegno e all'estensione dell’opera; d) non determini la creazione di uno spazio stabilmente chiuso, con conseguente variazione di volumi e di superfici; e) abbia caratteristiche tecnico-costruttive e profilo estetico tali da ridurre al minimo l’impatto visivo e l’ingombro apparente e si armonizzi alle preesistenti linee architettoniche. In assenza anche di una sola di queste condizioni, l’opera non può essere considerata come soggetta a edilizia libera”.
Cos'è la pergotenda secondo la giurisprudenza amministrativa
Venendo in particolare alla pergotenda, la Cassazione osserva che “la stessa, secondo la definizione che ne dà la giurisprudenza amministrativa, consiste tipicamente in una struttura leggera, diretta a soddisfare esigenze che, seppure non precarie, risultano funzionali solo a una migliore vivibilità degli spazi esterni di un'unità già esistente, tipo terrazzi e/o giardini, poiché essenzialmente finalizzate ad attuare una protezione dal sole e dagli agenti atmosferici.
La pergotenda, dunque, non si connota per la temporaneità della sua utilizzazione, ma piuttosto per costituire un elemento di migliore fruizione dello spazio esterno, stabile e duraturo. Ne consegue che per poter configurare una struttura come pergotenda, occorre che la res principale sia costituita da una tenda, quale elemento di protezione dal sole e dagli agenti atmosferici, finalizzata a una migliore fruizione dello spazio esterno dell’unità abitativa, con la conseguenza che la struttura di supporto, per aversi realmente una pergotenda e non una costruzione edilizia necessitante di titolo abilitativo, deve qualificarsi in termini di mero elemento accessorio, necessario, per l’appunto, al sostegno e all’estensione della tenda; in altri termini, il sostegno della tenda deve consistere in elementi leggeri di sezione esigua, eventualmente imbullonati al suolo (purché facilmente disancorabili). La tenda poi, per essere considerato elemento di una pergotenda (e non considerarsi una nuova costruzione), deve essere realizzata in un materiale retrattile, onde non presentare caratteristiche tali da costituire un organismo edilizio rilevante, comportante trasformazione del territorio. Infatti, la copertura e la chiusura perimetrale che essa realizza non presentano elementi di fissità, stabilità e permanenza, proprio per il carattere retrattile della tenda, onde, in ragione della inesistenza di uno spazio chiuso stabilmente configurato, non può parlarsi di organismo edilizio connotantesi per la creazione di nuovo volume o superficie”.
La creazione di nuovi spazi chiusi esclude che si tratti di pergotenda
Da ciò discende che “la creazione di nuovi spazi chiusi o comunque di un nuovo ambiente stabile o l’incremento di superfici o di volume escludono che l’opera possa essere qualificata come 'pergotenda'”.
Tanto premesso, la Corte di Cassazione nota che, “anche alla luce del novum legislativo, l’opera per cui si procede non rientrava nel regime di edilizia libera.
Ed invero alla stregua dell’accertamento fattuale cristallizzato nella sentenza impugnata, la struttura realizzata dall’imputato, lungi dal limitarsi a consentire solo una migliore fruizione dello spazio esterno, ha determinato la creazione di un nuovo volume abitabile, con chiusura totale di due pareti, con una copertura di plastica spessa e con l’utilizzo di pilastrini di dimensioni non trascurabili, avendo ciò determinato il mutamento della destinazione d’uso del terrazzo (e ciò a prescindere dalla presenza o meno anche della cucina in muratura)”.
Infine, la suprema Corte aggiunge che, “pur a voler concordare con il Tribunale rispetto alla sufficienza nel caso di specie di una semplice s.c.i.a., il fatto conserva comunque la sua rilevanza penale in piena coerenza con l’imputazione, essendo stata ascritta all’imputato la fattispecie di cui alla lettera a dell’art. 44 del d.P.R. n. 380 del 2001, contestata in ragione dell’accertata violazione, nella realizzazione della struttura, delle relative prescrizioni fissate dal Regolamento edilizio e dallo Studio organico di insieme del Centro storico di Varazze”.