Nella recente sentenza n. 2749/2025 (in allegato), il T.A.R. Lombardia (Sezione Seconda) ha richiamato l'attuale disciplina in materia di stato legittimo degli immobili, a seguito delle novità introdotte dal Salva Casa (d.l. n. 69 del 2024, convertito con modifiche dalla legge n. 105 del 2024).
La disciplina prima del Salva Casa
L’art. 9-bis, comma 1-bis, del d.P.R. n. 380 del 2001, nella formulazione vigente prima dell'entrata in vigore del Salva Casa, stabilisce che <<Lo stato legittimo dell'immobile o dell'unità immobiliare è quello stabilito dal titolo abilitativo che ne ha previsto la costruzione o che ne ha legittimato la stessa e da quello che ha disciplinato l'ultimo intervento edilizio che ha interessato l'intero immobile o unità immobiliare…>>.
“Per dimostrare lo stato legittimo di un immobile, non è quindi sufficiente produrre l’ultimo titolo edilizio che lo ha interessato ma è necessario anche l’esame di quello che ne ha previsto la costruzione (decisivo in questo senso è l’utilizzo della congiunzione “e” contenta nella norma). Ne consegue che la dichiarazione del progettista, concernente lo stato di fatto, contenuta nella pratica afferente all’ultimo titolo non è di per sé sufficiente a dimostrare lo stato legittimo del bene, dovendo tale dichiarazione trovare riscontro nel titolo precedente: se il progettista, nella pratica afferente all’ultimo titolo edilizio, aveva dichiarato che lo stato di fatto era legittimo ma in realtà non lo era in quanto l’edificio era stato in precedenza abusivamente modificato o non era comunque conforme al titolo che ne aveva assentito la costruzione, l’abuso rimane e può essere sempre
sanzionato dall’amministrazione nonostante l’erronea dichiarazione abbia appunto consentito il rilascio di un nuovo titolo”, osserva il T.A.R. Milano.
La disciplina dopo il Salva Casa
“Solo con l’art. 1, comma 1, lett. b), del d.l. n. 69 del 2024, convertito con modifiche dalla legge n. 105 del 2024, il legislatore ha deciso di tutelare l’affidamento del privato consentendo, a determinate condizioni, di dare rilevanza esclusiva alle risultanze dell’ultimo titolo, comprese quindi le dichiarazioni rese dal progettista nella relativa pratica e concernenti lo stato di fatto.
Stabilisce infatti l’art. 9-bis, comma 1-bis, del d.P.R. n. 380 del 2001, nella formulazione successiva alle modifiche introdotte dalla citata norma, che <<Lo stato legittimo dell'immobile o dell'unità immobiliare è quello stabilito dal titolo abilitativo che ne ha previsto la costruzione o che ne ha legittimato la stessa o da quello, rilasciato o assentito, che ha disciplinato l'ultimo intervento edilizio che ha interessato l'intero immobile o l'intera unità immobiliare, a condizione che l'amministrazione competente, in sede di rilascio del medesimo, abbia verificato la legittimità dei titoli pregressi…>>. Come si vede, questa disposizione, utilizzando la congiunzione “o” in luogo della congiunzione “e”, consente ora di dare rilevanza esclusiva all’ultimo titolo riguardante un intervento che ha interessato l’immobile nella sua interezza, impedendo così all’amministrazione di contestare, successivamente al suo rilascio, precedenti abusi non riscontrati in quella sede”.
La norma, precisa il T.A.R. Lombardia, “subordina però questo favorevole effetto alla condizione che l’amministrazione, in sede di rilascio dell’ultimo titolo, abbia verificato la legittimità dei titoli pregressi. Ne consegue che, per dimostrare lo stato legittimo, l’interessato può sì limitarsi a produrre l’ultimo titolo edilizio, ma deve trattarsi di un titolo che (oltre a riguardare un intervento che interessi l’immobile nella sua interezza) dia conto dell’accertamento effettuato dall’amministrazione circa la sussistenza e la regolarità dei titoli edilizi precedenti che legittimano lo stato di fatto in esso dichiarato”.
Non è sufficiente un’attestazione implicita
La giurisprudenza del T.A.R. Lombardia “ha chiarito che l’attestazione dell’amministrazione circa la regolarità dei titoli pregressi deve essere esplicita, e che, in assenza di tale attestazione esplicita, la rappresentazione dello stato di fatto compiuta dal progettista non è di per sé sufficiente ai fini che qui interessano, poiché la circostanza che un'opera non legittima sia rappresentata nelle pratiche edilizie non può comportarne la regolarizzazione postuma (cfr. T.A.R. Lombardia Milano, Sez. IV, 25 gennaio 2025, n. 227)”.
Il caso in esame
Nel caso di specie in esame, l’immobile “è stato costruito negli anni trenta. Il titolo edilizio che ha assentito la costruzione non risulta reperibile, per cui l’unico atto da cui desumere la sua originaria destinazione funzionale è il verbale di terza visita richiamato nell’atto impugnato, da cui risulta che lo stesso immobile è stato in origine destinato a scuderia (piano terra) e fienile (piano primo). Non risultano esservi titoli edilizi successivi che ne abbiano autorizzato il mutamento di destinazione d’uso (la concessione in sanatoria del 13 maggio 1996 è a tal fine irrilevante atteso che essa riguarda solo una piccola tettoria ad uso industriale e artigianale posta al piano terreno), né la parte ha provato che tale mutamento sia stato impresso in epoca antecedente all’introduzione dell’obbligo di munirsi di titolo edilizio”.
Pertanto, osserva il T.A.R. Milano, “si deve ritenere che la sua legittima destinazione sia appunto a scuderia e fienile e che, quindi, la destinazione produttiva, a cui di fatto l’edificio è stato successivamente adibito, sia stata conferita in assenza di titolo.
A conclusioni contrarie non possono portare le dichiarazioni rese dal progettista nelle pratiche afferenti alla DIA del 29 novembre 2013 e alla successiva DIA in variante del 20 gennaio 2014 (laddove egli ha attestato che l’edificio è legittimamente destinato a funzioni produttive) posto che, come detto, tali dichiarazioni non sono da sole sufficienti a conferire legittimità ad uno stato di fatto in realtà non conforme alla disciplina urbanistico-edilizia”.
Nella fattispecie in esame “non è applicabile la norma di favore introdotta dal d.l. n. 69 del 2024 atteso che l’atto impugnato è stato adottato in epoca antecedente alla sua entrata in vigore. In ogni caso, anche ammettendo l’applicabilità delle nuove disposizioni, l’effetto sanante non pare comunque conseguibile atteso che non risulta che il Comune di Milano abbia in qualche atto esplicitamente attestato di aver accertato la regolarità dei suddetti titoli edilizi.
Neppure può ritenersi che il consolidamento della DIA del 29 novembre 2013 e della successiva DIA in variante del 20 gennaio 2014 abbia reso definitivamente ammissibile la destinazione residenziale”.