Nel caso affrontato dal Tar Lazio (Sezione Seconda Quater), i ricorrenti hanno impugnato l’ordinanza con cui il Comune di Montecompatri: i) ha ingiunto loro la demolizione di alcune opere edificate in assenza del titolo edilizio presso l’immobile; ii) ha ingiunto loro il ripristino dell’originario stato dei luoghi.
In particolare, tale ordinanza ha fatto seguito a quanto emerso nel corso di un sopralluogo effettuato dalla polizia locale presso il predetto immobile, nel corso del quale sono state accertate: i) la realizzazione di nuova porzione di fabbricato in ampliamento sul fronte principale dell'edificio ad uso residenziale (3.2 x 5,2 mt.); ii) la realizzazione di aumento di superficie non residenziale, mediante ampliamento del balcone preesistente non assentito da alcun titolo edilizio.
Il ricorso è stato affidato ai seguenti motivi: i) eccesso di potere ed errore nei presupposti: il Comune non si sarebbe avveduto che l’11 maggio 2022 è stata presentata una SCIA in sanatoria ex art. 37, comma 4 del d.P.R. n. 380/2001, con conseguente influenza di tale profilo sul potere amministrativo nella specie esercitato; ii) travisamento dei fatti: il Comune non avrebbe adeguatamente considerato che le opere colpite dall’ordinanza impugnata insisterebbero su un’area ricompresa in una zona del Comune di Monte Compatri dove risulta in essere una variante e comunque un piano di recupero delle opere abusive; iii) disparità di trattamento: nella zona sussisterebbero altre costruzioni non conformi alla disciplina edilizia e non fatte oggetto di alcun provvedimento repressivo; iv) vizio di motivazione e omissione delle garanzie partecipative.
La sentenza del Tar Lazio
La Sezione Seconda Quater del Tar Lazio ha respinto il ricorso in quanto infondato. Con la sentenza n. 16587/2025, essa ha innanzitutto precisato che “non è ammissibile, in quanto introdotta dal legale della ricorrente solo all’udienza di discussione, la censura secondo cui gli abusi colpiti dall’ordinanza gravata sarebbero tutti sanabili in applicazione del c.d. decreto salva casa entrato in vigore il 28 luglio 2024. In proposito - in disparte l’assoluta genericità di tale assunto non supportato da alcun adeguato riscontro volto a ricondurre ciascuno dei due abusi sanzionati al summenzionato decreto - è sufficiente rilevare che la doglianza non è stata tempestivamente trasfusa in un atto di motivi aggiunti (che doveva essere proposto nei sessanta giorni successivi all’entrata in vigore del decreto), ritualmente notificato al Comune e depositato in giudizio”.
Passando allo scrutinio del ricorso, “non convince il primo motivo, con cui i ricorrenti hanno lamentato l’omessa considerazione da parte del Comune della SCIA in sanatoria da loro presentata l’11 maggio 2022: in tesi, quest’ultima avrebbe ad oggetto opere conformi alla disciplina urbanistica ed edilizia vigenti sia al momento della realizzazione sia al momento della presentazione della segnalazione e varrebbe ad inficiare la validità del provvedimento impugnato.
Al riguardo, va subito osservato che: i) la SCIA in sanatoria è stata presentata sia dopo la realizzazione degli abusi che dopo l’adozione dell’ordinanza avversata; ii) sulla scorta di quanto già evidenziato in sede cautelare, le opere stigmatizzate nell’atto impugnato, per le loro caratteristiche strutturali e funzionali ivi descritte, rientrano a pieno titolo fra gli interventi di nuova costruzione che, per la loro realizzazione, necessitavano del previo permesso di costruire, nella specie non richiesto né rilasciato.
A tale stregua, la loro realizzazione non poteva in alcun modo essere abilitata ex post con la presentazione della SCIA in sanatoria, la quale può essere invece utilizzata, ai sensi dell’art. 37 del d.P.R. n. 380/2001, per interventi minori diversi da quelli oggi all’esame.
Sul punto, in giurisprudenza si è avuto condivisibilmente modo di ritenere che “non si ammettono la d.i.a. o la s.c.i.a. in sanatoria presentate successivamente al completamento dell’opera abusiva ed utilizzate come strumento di sanatoria giacché gli illeciti edilizi in questione, ad eccezione dei casi contemplati dall’ art. 37 del d.P.R. n. 380 del 2001, possono essere sanati soltanto in forza di titolo edilizio per condono straordinario o per accertamento di conformità….in base al principio di tipicità degli atti amministrativi, una istanza di permesso di costruire o una s.c.i.a. può avere ad oggetto solo lo svolgimento di attività edilizia futura” (cfr. ex multis, Cons. St., IV, n. 4200/2023, id., VI, n. 5746/2022; id., IV, ord. n. 4573/2010).
Su tali basi, si è condivisibilmente ritenuto che la presentazione della SCIA in sanatoria non determina la sospensione dell'efficacia dell’ordinanza di demolizione né è idonea ad influire in alcun modo sulla legittimità della stessa, atteso che la realizzazione di un intervento edilizio, prima del rilascio del titolo prescritto dalla legge, ne comporta irrimediabilmente l'abusività, quantomeno formale, alla quale può ovviarsi con il diverso procedimento di accertamento di compatibilità urbanistica, di cui all'art. 36 del DPR 380/2001, o di condono, sempreché ne ricorrano i presupposti (della c.d. doppia conformità sostanziale).
Pertanto, perché potesse prodursi la sospensione dell’effetto della ordinanza di demolizione, i ricorrenti avrebbero dovuto presentare una formale istanza di condono o di accertamento di conformità ai sensi dell’art. 36 del d.P.R. n. 380/2001, ma nel caso di specie non è stato provato che dette istanze siano state presentate.
In ogni caso, anche a voler qualificare l’istanza di SCIA in sanatoria quale istanza di accertamento di conformità, è dirimente osservare che, non essendosi pronunciato il Comune nel termine di sessanta giorni contemplato dall’art. 36, comma 3 del d.P.R. n. 380/2001, sulla stessa si è formato silenzio-diniego che i ricorrenti non risultano aver gravato”.