Mentre l’attenzione mediatica è concentrata sulla manovra e sul dibattito innescato dalla riduzione dell’aliquota Irpef che premia soprattutto il ceto medio-alto rispetto a quello medio-basso, c’è un altro argomento che sta passando un po’ sotto traccia e riguarda il famigerato PNRR, il Piano Piano nazionale di ripresa e resilienza, che ha permesso all’Italia di riprendersi dopo la crisi del Covid e di mantenere in questi ultimi anni un PIL positivo.
L’anno che verrà, il 2026, sarà quello decisivo per portare a termine il piano e il governo Meloni ha da poco inviato a Bruxelles la richiesta della sesta revisione, già presentata alle Camere, che una volta avallata dalla Commissione Ue, dovrebbe consentire di completare con successo il rush finale.
Le osservazioni di OpenPolis
Gli analisti della Fondazione OpenPolis, che sin dall’inizio seguono l’iter e gli sviluppi del PNRR, raccogliendo e analizzando dati disponibili pubblicamente, anche in questo caso, con la richiesta della sesta revisione del piano, non hanno fatto mancare il prezioso contributo.
Secondo OpenPolis, nonostante l’esecutivo abbia ricevuto il via libera dalle Camere e la richiesta di modifica sia già stata inviata a Bruxelles, sono molti gli aspetti che risultano poco chiari in base alle informazioni disponibili. Secondo una relazione presentata dall’esecutivo, sarebbero 34 in totale le misure interessate da un definanziamento almeno parziale. Tuttavia non è ancora definito in maniera puntuale in quale misura ciascuno di questi investimenti sarà modificato. Anche l’Ufficio parlamentare di bilancio (Upb) ha evidenziato questa situazione di incertezza.
Ad oggi, prosegue OpenPolis, non disponiamo di tutti gli elementi per capire come cambierà il Pnrr italiano dopo questa nuova revisione. Si possono trarre tuttavia alcune indicazioni di carattere generale. L’esecutivo stima, ad esempio, in circa 14 miliardi di euro le risorse del Pnrr da ricollocare. Una parte consistente di questi fondi sarà gestita attraverso le cosiddette facility. Si tratta di strumenti finanziari che consentiranno di proseguire i progetti anche oltre la scadenza del giugno 2026.
La situazione di incertezza deriva dal fatto che l’iter di revisione non è ancora stato completato a livello europeo. Ci si aspettava infatti un primo pronunciamento entro la fine di ottobre, che non è arrivato, segno che l’interlocuzione tra Roma e Bruxelles è ancora in corso. Per sapere dunque se tutte le modifiche richieste saranno accettate ci vorrà ancora un po’ di tempo.
Dirottate le risorse residue di Transizione 5.0
In queste ore, veniamo a sapere da Federico Fubini, sulle pagine del Corriere della Sera, che un decreto ministeriale del Ministero delle Imprese e del Made in Italy, ha dichiarato l’indisponibilità delle risorse per il piano Transizione 5.0, ovvero gli incentivi sotto forma di credito d’imposta per le imprese che hanno investito in macchinari e impianti versi.
Dei 6,2 miliardi inizialmente messi a disposizione, solo 2,5 sono stati assorbiti, il resto sarebbe, proprio attraverso la sesta revisione del PNRR, è stato dirottato su altre misure tra cui Industria 4.0 decise da precedenti esecutivi, con la giustificazione che “non c’era più tempo per spendere tutto”.
Ora però, secondo il Corriere, migliaia di imprese rischiano di perdere incentivi stabiliti per legge per (almeno) centinaia di milioni di euro. Imprese che avevano finalmente iniziato a credere in Transizione 5.0, acceso mutui in banca, ordinato macchinari (spesa media, quasi mezzo milione).
Il risultato è che già da venerdì mattina il sito per le domande a Transizione 5.0 non funzionava più mentre quello per Industria 4.0 ieri mattina aveva un residuo di risorse disponibili di 87,9 milioni che si sono azzerate nel pomeriggio.
Con questa operazione il governo non ha aumentato la portata dei vecchi bonus ma ha semplicemente dirottato fondi del PNRR a copertura di spese già previste sperando, quanto meno, di usare tutte le risorse del PNRR entro la scadenza del 2026.